Vacche Ribelli: Proiezione e Dibattito

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Grande affluenza di pubblico ieri sera al teatro Mons. Macciò per la proiezione del film documentario Vacche Ribelli,  che tratta la storia delle ormai celeberrime mucche delle Giutte che da dieci anni vagano tra i nostri monti e le nostre valli dopo essersi riappropriate della loro libertà in seguito ad un tentativo di cattura fallito.

Molti gli ospiti presenti che hanno avuto a che fare con la vicenda, i quali hanno partecipato ad un coinvolto dibattito dopo la proiezione del film; presenti in sala infatti vi era Eraldo Minetti della ex polizia provinciale che si è occupato del caso dal suo principio ad oggi; Andrea Marsan biologo e professore dell’Università di Genova; Fulvio Cambiaso veterinario locale, profondo conoscitore della questione ed il Sindaco di Masone Enrico Piccardo che ormai da anni si impegna fortemente per trovare una soluzione al problema.

Numerose le domande da parte degli ospiti presenti soprattutto da chi ha subito danni alla proprietà a causa delle incursioni notturne dei bovini, considerati a questo punto alla stregua di fuorilegge.

I presenti in sala hanno domandato quali potranno essere le prossime mosse delle istituzioni per la salvaguardia della popolazione e le soluzioni proposte da sindaco ed esperti sembrano convergere in unico punto: l’abbattimento della mandria. Considerando però il fatto che ormai il progetto d’abbattimento è stato approvato già da svariati anni e che il problema maggiore è la mancanza di risorse per trovare il personale qualificato per svolgere un compito così delicato, diventa estremamente complesso trovare una soluzione al dilemma. Infatti, come ha più volte ribadito Eraldo Minetti “ Non possiamo rischiare di mandare gente inesperta, ma dobbiamo avvalerci esclusivamente di tiratori altamente ed attentamente selezionati, se una mucca venisse disgraziatamente ferita e non abbattuta sul posto allora sì che ci sarebbe un concreto e reale pericolo per la popolazione, un animale di quella mole che vaga per i nostri boschi pazzo di dolore rappresenterebbe un pericolo enorme per tutti. Purtroppo con lo scioglimento del corpo di polizia provinciale tutto si è arrestato, finanziamenti compresi.”

Dal pubblico qualcuno chiede: “ Perché la gestione di questi animali non viene presa in carico dallo stato e non vengono considerati alla stregua di animali selvatici come i cinghiali ed i caprioli?”. A questo punto risponde il professore Andrea Marsan spiegando che non esiste una legge che permetta di considerare un animale domestico, come un bovino, benché rinselvatichito da più generazioni,  allo stesso livello di un cinghiale o di un capriolo; la legge italiana distingue animali selvatici da animali domestici ed una vacca, benché ormai di domestico abbia più poco, resta sempre una vacca e quindi un animale domestico, che non rientra nel patrimonio  faunistico indisponibile dello stato di cui fanno parte i selvatici. Di conseguenza non possiamo applicare quei piani di gestione previsti per cinghiali caprioli ecc alle mucche, ma bisogna predisporre piani d’azione ad hoc.

Il sindaco Piccardo, da parte sua, ha rassicurato i concittadini  promettendo una soluzione al problema ed ha affermato che sono stati effettuati dei recenti sopralluoghi in zona “Groppo” per tenere monitorata la mandria.

Molto interessante e rassicurante l’affermazione del veterinario Fulvio Cambiaso, secondo la quale è tutto destinato a risolversi da solo, infatti, afferma Fulvio, “se non vi saranno, come si spera, ulteriori immissioni di capi all’interno del “branco”, il loro patrimonio genetico è destinato ad impoverirsi di anno in anno, determinando un indebolimento dei nuovi individui che non saranno più adatti alla vita selvatica”.

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Non sono mancate le proposte di soluzioni incruente, a cominciare dall’istituzione di un’area recintata ad uso esclusivo della mandria al prelievo ed affidamento ad allevatori volontari disposti ad occuparsene. Ovviamente sono idee di difficile attuazione, costose e complesse, ma non per questo trascurate, perchè sembra che nonostante tutto vi sia, se non da parte di tutti, di molti, un sentimento inconfesso ma condiviso di simpatia e rispetto nei confronti di questi animali che con molta fatica ed ostinazione hanno ottenuto e mantenuto la tanto agognata libertà e forse per questo, ad oggi, non è ancora stata trovata una soluzione definitiva al problema.

Articolo di Luca Serlenga

Foto di Matteo Serlenga

Omaggio a un genio immortale

Villaggio ha ampliato e modificato la lingua italiana”  – Fellini

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È stato il più grande clown della sua generazione, un bambino spietato e rivoluzionario”  – Benigni

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(…) La stessa tra la maschera e il suo inventore, come Charlie Chaplin – Charlot, denota quanto fosse profonda la sua intuizione, quanto ci abbia smascherati, denudati, rivelati a noi stessi. Con Paolo Villaggio se ne va la nostra parte migliore: quella che non l’ha mai fatto, ma l’ha sempre sognato” – Aldo Cazzullo (Il Corriere della Sera)

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il mondo che ha raccontato con Fantozzi e Fracchia gli sopravvive. Non a caso esiste l’aggettivo fantozziano, come felliniano. Superando l’aspetto di critica sociale legato a quel momento storico, resta la dimensione dell’anima, il sentirsi inadeguati, una certa vigliaccheria, il lasciarsi travolgere dalle cose” – Gabriele Salvatores (Il Corriere della Sera)

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“Paolo ha inventato un modo di parlare per iperboli, fantozziano sta nei dizionari. Oggi ci vorrebbe “Fantozzi 2.0”, è il rapporto con la tecnologia a renderci fragili. Lo smartphone è la nuova poltrona di Fracchia. Ma Fantozzi resta attuale perché ha colto la natura di noi italiani. Il pubblico guardava il ragioniere e si diceva: guarda che scemo, che brutta moglie, che vita squallida, guarda come si lascia vessare dai capi. Non si riconoscevano e invece erano esattamente come lui”  – Neri Parenti (Il Corriere della Sera)

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“Mi farò cremare e poi una ragazza giovane mi butterà nel mare che amo tanto. Altrimenti, se diventa complicato ho già pronto un ristoratore di Sori che mi farà bollire per ore,ore e ore” – Paolo Villaggio (Il Fatto Quotidiano)

 

 

 

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Tesori verdi dalle nostre montagne magiche

Tesori verdi dalle nostre montagne magiche.

Dal Beigua alla Scozia, oltre 1500 km di storia
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Recentemente, dei ricercatori hanno ritrovato in Scozia delle asce, antiche di circa 6000 anni, originarie delle Alpi italiane; ora, grazie ad un progetto che coinvolge il National Museums of Scotland, denominato “Projet Jade”, può essere raccontata la loro affascinante storia: queste asce sono state realizzate con diversi tipi di roccia alpina, per lo più giadeite, omfacite ed eclogite estratta dal Monviso e dal Monte Beigua.

..Ma perché erano così speciali queste asce? Non erano strumenti quotidiani per tagliare alberi o legname, bensì oggetti sacri e preziosi: nel neolitico infatti associavano le montagne al mondo degli dei, di conseguenza questi manufatti erano considerati come amuleti per proteggere e guarire, e venivano lucidati in modo da conferirgli più brillantezza, col fine di rafforzare le presunte qualità divine; il loro colore verde luminoso, infatti, simboleggiava l’immortalità.

I creatori d’asce si arrampicavano ad altezze di oltre 2.000 metri sulle Alpi italiane per estrarre i blocchi di pietra che venivano poi spinti fino ai loro villaggi per essere lavorati; le asce venivano  poi esportate in tutta Europa e durante il loro viaggio verso nord-ovest, attraverso la Francia, subirono lucidature e modifiche: le asce scoperte in Scozia infatti hanno percorso oltre 1.500 chilometri nel corso delle loro lunghe e complicate vite.

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Il National Museum of Scotland ha utilizzato la tecnica della spettroradiometria (una tecnica presa in prestito dall’esplorazione spaziale) per identificare il tipo di roccia utilizzato in questi manufatti.   I ricercatori,attraverso questo sofisticato metodo di analisi, hanno quindi potuto ricostruire il loro antico metodo di lavorazione: la roccia veniva estratta utilizzando il calore del fuoco per allentare le fibre dei vari blocchi, mentre l’effetto lucido vetroso potrebbe essere stato ottenuto in diversi modi, tra cui la macinazione con una pasta prodotta con la farina di tifa, una pianta di palude; si pensi che per creare un’ascia completamente lucida erano necessarie più di 1.000 ore di lavoro!

Sembra poi che i contadini neolitici sentissero la necessità di restituire questi oggetti sacri e potenti al mondo degli dei depositandoli in luoghi speciali, spesso in prossimità di fiumi o corsi d’acqua; a volte invece venivano rotte o sepolte, probabilmente era un modo simbolico di restituire le pietre agli dei, rimuovendole dal mondo dei vivi.

Luca Serlenga

 

Nella foto una testa d’ascia di pietra verde del Beigua trovata in Scozia; la foto è tratta dal sito: www.nms.ac.uk

La fonte principale: http://www.nms.ac.uk/explore/stories/scottish-history-and-archaeology/stone-age-jade-from-the-alps/ (segnalata dal Dott Alberto Pastorino)

Vacche Ribelli di Rossi,Carbonara,Ghiggi e Serlenga

Immagine

È uscito VACCHE RIBELLI, dopo mesi di solo trailer e tanti servizi dei mass media ecco il CORTOMETRAGGIO INTEGRALE. https://vimeo.com/221235876

È stato un gran piacere trovarmi/ci nei boschi di Masone per giorni e giorni per cercare di filmare queste splendide vacche rinselvatichite. Trovare anche solo una loro banale impronta sulla terra fresca mi ha trasmesso emozioni ataviche. Forse ho provato sensazioni (curiosità e rispetto) che provavano i nostri antichi progenitori umani quando si trovavano al cospetto delle tracce del mitico URO (Bos taurus primigenius).

La Troupe del Film:

Paolo Rossi: fotografo (http://www.facebook.com/paolorossilupihttp://www.paorossi.it)

Stefania Carbonara: videomaker (http://www.facebook.com/stefaniacarbonaravideomakerstefaniacarbonara.jimdo.com)

Alessandro Ghiggi: naturalista (aleghiggi88@gmail.com)

Luca Serlenga: geografo (luca.serlenga1989@libero.it)

In attesa. Radio 2

PASCAL RADIO2 del 22/05/2017 – IN ATTESA (Paolo Rossi)
Un fotografo che aspetta anni per uno scatto.

Foto della lupa scura su www.paorossi.it

Puntata integrale su: http://pascal.blog.rai.it/podcast/

 

 

Allerta lupo ?! di P.Rossi

In merito a questo articolo***http://parcoantola.it/notizie/allerta-lupo-gialla.html (Parco Antola)

L’idea del Parco regionale dell’ Antola di paragonare Lupi ad Alluvioni utilizzando termini come “allerta” è a dir poco discutibile. Le conseguenze di questo inutile allarmismo lo si vedono si da subito nel primo commento di Maria Grazia: “Bene così dovrò stare attenta quando farò una passeggiata…..dopo aver lavorato tutto l anno”.

L’ALLERTA agli allevatori della valle lo si trasmetta a quattrocchi (e attraverso strumenti di prevenzione che il Parco sta comunque attuando,in alcuni casi con discreto successo) e non attraverso i social network. Termini e Post come “L’allerta lupo” rischiano di fomentare inutile allarmismo invece di garantire utile informazione per una buona convivenza tra uomini e lupi.

L’allarmismo nutre la paura e in una regione (Liguria) dove i controlli e la vigilanza ambientale è ridotta sempre più all’osso…l’allarmismo può “nutrire” anche i bracconieri. In valle il lupo è tornato in modo NATURALE da almeno 30 anni è tempo che gli allevatori di mucche di zona imparino a tenere “al riparo” i vitellini perché non possono contare sempre e solo sulla straordinaria vena protettiva delle loro madri (le toste mucche di razza Limousine). Detto ciò buon lavoro! Poiché gli esempi di impegno del Parco nella convivenza tra uomo e lupo sono molteplici!


*** “A seguito delle predazioni di due vitelli appena nati in zona Caprile, risalenti al 20 e 25 maggio, si dirama L’ALLERTA LUPO GIALLA per i comuni di Propata, Rondanina, Fascia e Torriglia (versante Brugneto).Gli episodi di predazione in questione potrebbero essere in relazione con una riproduzione in atto nel bacino del Brugneto e si teme possano ripetersi in un prossimo futuro, con potenziale intensificazione nel periodo tardo-estivo, allorché si valuterà se mutare l’allerta da gialla a rossa.Raccomandiamo agli allevatori di provvedere al ricovero degli animali e di contattare il Parco in caso di avvistamenti”. 1 giugno 2017 Parco Antola

Internazionale e il lupo (Estratti)

Aprile 2017

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Chi ha paura del lupo

Audrey Garric, Le Monde, Francia

(brevi estratti)

Il Pastore

(…) A Scanno, un paese abruzzese ai confini del parco, il lupo non suscita troppe tensioni. Nell’Allevamento ovino di Gregorio Rotolo, 56 anni, sono cinque anni che il lupo non si fa vedere. Rotolo è un uomo robusto e tiene d’occhio i suoi animali come un falco: 1.500 pecore, e poi capre e vacche, che d’estate vengono portate al pascolo da una decina di pastori e da trentotto cani. “I cani sono tutti nati e allevati in mezzo agli ovini, che riconoscono come la loro famiglia”, spiega l’allevatore, tenendo tra le braccia un cucciolo bianchissimo. “Le pecore non  possono mai restare sole, devono essere riportate nel recinto tutte le notti e sorvegliate da un pastore. È il lupo ad aver paura dell’uomo, non il contrario”, dice. A valle e sull’alpeggio, Rotolo, che produce formaggi, usa due recinzioni, in parte finanziate dal Parco (naz. di Lazio Abruzzo e Molise): una larga, elettrificata, e una più piccola all’interno della prima, “per non stressare le pecore e per evitare che si trovino faccia a faccia con il predatore”. Le perdite sono sempre possibili, ma fanno parte dei rischi del mestiere. “Mio nonno diceva: ‘se vuoi allevare delle pecore, contane sempre qualcuna in più per il lupo’”. (…)

Il Guardiaparco

(…) Antonio Ursitti, 89 anni, ex guardiaparco, è stato un luparo. Braccava i lupi anche per giorni, poi vendeva le pelli. “Il comune ci pagava per ogni esemplare ucciso”, ricorda. “Erano le autorità del parco che, per proteggere i camosci, ci davano le trappole o il veleno”. Gli allevatori ringraziavano fornendo formaggio e carne. All’inizio degli anni settanta, quando lo stato e le autorità del parco decisero di proteggere i lupi, perché a rischio di estinzione, la situazione cambiò radicalmente. Chi uccideva i lupi si trasformò nel loro salvatore. “Non è stato facile perché ho dovuto fare multe ai bracconieri con i quali fino a poco tempo prima condividevo il mestiere”, confessa Ursitti, che nella sua carriera ha ucciso venti lupi. “Oggi abbiamo capito l’importanza della natura e sono cambiate anche le regole”. L’uomo interrompe all’improvviso il suo racconto per andare da una finestra: “Sentite?”. L’ululato dei lupi rompe il silenzio della montagna. (…)