Il fotografo che caccia i lupi

Il fotografo che “caccia i lupi”: “Non sono in guerra con l’uomo”

Il racconto di Paolo Rossi, 34 anni, genovese di Sant’Ilario

Terre da lupi

di MASSIMO CALANDRI – LA REPUBBLICA  14 febbraio 2018

https://genova.repubblica.it/cronaca/2018/02/14/news/il_fotografo_che_caccia_i_lupi_non_sono_in_guerra_con_l_uomo-188815076/ (Link dell’articolo originale)

L’incontro ravvicinato più recente è solo di qualche settimana fa nei boschi della Val Trebbia: “Cuccioli di lupo. Me li sono trovati intorno all’improvviso. Per prudenza sono rimasto immobile. Gli adulti di solito scappano, quando arrivo a 50 metri di distanza: ma loro no, si fidano. Non sanno ancora niente, dell’uomo. Così mi hanno annusato un po’. E poi se ne sono andati, tranquilli”. Paolo Rossi, 34 anni, genovese di Sant’Ilario, è l’ultimo – e il primo – dei lupari. Naturalmente ha la barba nera. Un cappellaccio calcato in testa, la mantella spessa, gli scarponi coperti di fango. Una sacca col necessario alla cattura: taccuino, penna, telecamera a infrarossi, macchina fotografica, teleobiettivo. Niente fucile. Perché è un cacciatore di lupi che non spara. Scatta. Immagini che diventano libri, storie da raccontare, luoghi da far conoscere nella speranza di incontrare quelli che – sostiene – dovremmo tornare a considerare come i nostri migliori amici. Anche lui ha visto sul sito di Repubblica il video, girato l’altra sera a Torriglia con un telefonino da un automobilista: un lupo a poca distanza dal paese. E non si è sorpreso più di tanto. “Hanno sempre gironzolato, da quelle parti: i lupi vanno a caccia di daini e caprioli, che si avvicinano all’abitato perché le persone curano i loro giardini e l’erba tagliata fresca è migliore. Ci vuole solo un pizzico di prudenza, ma non abbiate paura: non sono pericolosi”.
Nei boschi liguri si stima vivano tra i cento e i duecento esemplari di canis lupus italicus – taglia piccola e un manto che sulla schiena si fa molto scuro, quasi nero -: in piccoli branchi, non più di quattro, ma il più delle volte si tratta di coppie con cuccioli che appena diventano grandi se ne vanno per conto loro. Non hanno mai attaccato l’uomo: si cibano di prede selvatiche. “Che sono aumentate di numero in maniera impressionante, dopo che l’uomo ha abbandonato le campagne. Il lupo fa il suo ‘lavoro’, naturalmente: seleziona e caccia gli animali più vecchi, più deboli, dalle faggete più impervie alle zone verdi vicino ai centri abitati”. Paolo può addirittura testimoniare del ritorno del cervo, che aveva lasciato queste zone secoli fa. “Ho trovato tracce in Val di Vara, nello Spezzino”. Il mondo sta cambiando, ma la gente che ne sa? Nel 1970, quando la legge ne ha proibito l’abbattimento, i lupi erano praticamente estinti: in Italia se ne contavano non più di 150, nascosti nelle faggete abruzzesi. Oggi sono quasi 2.500, abitano l’intera dorsale appenninica e si spingono fino alle Alpi, sfiorano la macchia mediterranea. “Li puoi incontrare a Sori, di sicuro guardano il mare di Portofino”.
Per Paolo, la vita è cambiata una mattina d’estate che era adolescente, proprio non lontano da Torriglia. “Ho percorso un sentiero dopo un temporale e le ho viste, tutte in fila: orme di lupo”. Un evento allora abbastanza eccezionale. O forse no: i boschi cominciavano a ripopolarsi. “Un segno del destino”, sostiene. “Poi mi capitò tra le mani un libro di Barry Lopez, ‘Lupi e uomini’. Raccontava che non erano animali pericolosi così come la gente temeva, che quella paura irrazionale era ingiustificata. Che erano capaci di prenderti lo sguardo e restituirtelo. Che con noi umani c’erano sorprendenti affinità”. Si diploma con una tesina all’istituto agrario di Sant’Ilario – “Il ritorno del lupo sull’Appennino ligure” -, qundi s’arrangia con lavoretti che gli permettono di passare ogni momento libero a “caccia” di una qualche traccia. “Ho trascorso anni a trovare altre orme, e carcasse di prede. A leggere libri, informarmi”. Fino al 2010, quando – dopo un appostamento eterno sul Monte Beigua – gli appare a pochi metri una femmina. “Un esemplare giovane, curioso. E’ rimasta ad osservarmi e io, che avevo una macchina fotografica, ho cominciato a riprenderla”.
I lupari di una volta, quelli col fucile, giravano per i paesi facendosi pagare in denaro o generi alimentari. Erano quasi spariti nel secondo dopoguerra e la normativa del 1970 ha definitivamente chiuso la questione. In quello stesso periodo le campagne sono state abbandonate, mentre in molti territori venivano reintrodotti – anche a scopo venatorio – cinghiali, cervi, daini. Animali cacciati dal lupo, che col passare degli anni ha ritrovato le condizioni ideali. Crescendo nel numero, cominciando a migrare. Paolo Rossi è stato testimone di questo fenomeno, che negli ultime stagioni è diventato sempre più importante. “Nessuna paura: il lupo italiano attacca difficilmente gli allevamenti, che comunque possono essere ben protetti da recinzioni e cani addestrati. Non è in competizione col cacciatore, anzi: si nutre degli animali deboli o malati, quindi migliora le specie. Difficilmente attacca l’uomo, l’importante è che si tengano al guinzaglio i propri cani”. Paradossalmente – spiega –, il cinghiale è molto più pericoloso.
Va a caccia di lupi. Però a modo suo. “L’appostamento? Si comincia dalla tracce. Orme oppure escrementi, che sono inconfondibili: freschi hanno un odore terribile, dopo qualche giorno invece sono ossa e peli. Sempre lontani da luoghi frequentati dall’uomo e in punti di passaggio per gli animali. Io arrivo qualche ora prima del tramonto e piazzo una video-trappola. Mi accampo, torno poco prima dell’alba per capire se sono passati di lì. E a quel punto aspetto. Se sono fortunato, scatto”.
Da venerdì scorso, a Sestri Levante il Palazzo Fasce ospita una bellissima mostra fotografica di Paolo Rossi. Che sabato presenterà il suo ultimo libro autoprodotto e dedicato ai lupi. Si intitola: “Incivili”. Perché loro sono un po’ così: “Il lupo cattivo non esiste. E’ invece un animale tenace, con uno straordinario istinto di sopravvivenza e di collaborazione nel clan. Capace di adattarsi a tutto, anche all’uomo. Ma indipendente, sempre. Selvaggio”.

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