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Il sogno dell’uomo Villaggio era diventare immortale

LA STAMPA – Martedì 4 luglio 2017

 

Il sogno dell’uomo Villaggio era diventare immortale

di Alberto Infelise

 

Paolo Villaggio era molto più grande di Ugo Fantozzi. Soprattutto Paolo Villaggio non era Ugo Fantozzi: Ugo Fantozzi eravamo noi. A lui, anzi, Fantozzi faceva pure un po’ schifo, così meschino, così perdente, così rassegnato.

Villaggio era un uomo geniale un po’ incarognito dal fatto che attorno ne avesse di altri come lui, ma godeva a scarnificare la pochezza dei deboli perché sapeva che anche gli altri sono molto sadici e poco masochisti. Lo sapeva e si divertiva a prenderci in giro. Tanto era certo che non lo avremmo capito, perché, proprio come Fantozzi, non siamo questo granché. E ridevamo come se Fantozzi non fossimo noi.

Villaggio visto da vicino era Combram, metteva subito alla prova. Una ventina e passa di anni fa, alla domanda “Pronto la disturbo?”, rispose con stupore: “Ma sei scemo? Sono vecchio, non ci ho un cazzo da fare. Parliamo”. E parlò per ore, meravigliose ore. Mentre Sordi rappresentava le malizie collettive, i difetti di un modo di essere nazionale, Villaggio si concentrava sul privato: prendeva il peggio che vedeva negli altri (difetti fisici compresi) e lo faceva diventare satira, con l’effetto grottesco legato al fatto che tutti si immaginassero migliori dei mostri che raccontava. Con De André aveva in comune il fatto di avere un fratello che tutti consideravano migliore (nel suo caso persino magro – maledetto! – nonostante fossero gemelli). Da ragazzi avevano tirato fuori tutto quello che avevano perché principalmente erano dilaniati dal desiderio di essere considerati degni dei fratelli. Quando Fellini chiamò Villaggio per La voce della luna confessò a De André di essere terrorizzato di dover recitare per un mostro sacro: De André gli disse che era un cretino e che era Fellini a dare l’affare a far recitare un grande artista come Villaggio. Lui fece finta di crederci. La grandezza di Villaggio, in tutta la sua purezza, forse la si capisce al meglio leggendo i suoi libri o i suoi articoli. La sua scrittura è un’architettura solida che attraverso il sarcasmo belluino arriva al comico e al tragico. Oppure ancora attraverso le sue interviste. Pezzi d’arte in cui è sempre meravigliosamente falso. Perché non voleva dare nulla di sè allo spettatore che fosse vero o privato (che tanto quello non avrebbe capito un bel niente), non desiderava essere amato o compreso dal pubblico. Ma avrebbe fatto di tutto per rendersi immortale ai suoi occhi. E fortunatamente ci è riuscito.

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