Prevenire le alluvioni e salvaguardare i fiumi (il parere del Naturalista)
Foto di Paolo Rossi – Fotografo prossifoto@gmail.com
Testo di Stefano Brighenti – Naturalista (Laureato in Scienze Naturali)
stefano.brighenti85@gmail.com
La prevenzione del rischio idrogeologico può essere affrontata secondo due visioni. La prima comporta l’urbanizzazione selvaggia con la conseguente creazione del rischio e la sua successiva, necessaria se si vuole proteggere la pubblica incolumità, mitigazione tramite la costruzione di opere di regimazione idraulica (argini, plateazioni, tombinature come quella del Ferregiano, sbarramenti, etc.). Purtroppo tali infrastrutture si rivelano spesso inefficaci (vedi le ultime alluvioni del Bisagno) e danno la falsa illusione che costruire all’interno dell’alveo di un fiume possa essere saggio e sicuro. Lo schema è il seguente: l’urbanizzazione selvaggia e indiscriminata del territorio comporta un’ eccessiva impermeabilizzazione del suolo. Il terreno non può più filtrare in maniera efficace l’acqua piovana, la quale conseguentemente viene quasi totalmente convogliata repentinamente verso valle. Il tempo di corrivazione (quello che impiega ciascuna goccia di pioggia ad arrivare dai versanti al mare) si riduce in maniera esponenziale. “Troppa acqua tutta insieme” viene dunque incanalata verso il fiume il quale, ridotto sostanzialmente a un tubo di cemento a causa dell’uomo, si ingrossa con il rischio di straripare distruggendo con la sua furia distruttrice tutto ciò che incontra. La velocità della corrente è elevatissima perché la vegetazione riparia precedentemente estirpata per lasciare spazio ai nuovi quartieri accanto al fiume non può più attenuare il flusso dell’acqua e l’attrito che la scabrezza dell’alveo avrebbe potuto esercitare è ridotta quasi a zero dalle rettificazioni e dalle arginature: l’acqua non ha freni e, soprattutto, presenta una forza distruttrice centinaia di volte maggiore rispetto a quella che avrebbe in condizioni naturali! Se a questo si aggiunge la presenza di edifici e infrastrutture all’interno di quello che una volta era l’alveo del fiume (l’area all’interno della quale il corso d’acqua divaga alternando fasi di magra e di piena) la situazione diventa ancora più rischiosa. Aggravata dal fatto che le opere di regimazione sono spesso sottostimate, in un contesto ambientale in peggioramento, in cui la cementificazione del territorio (che aumenta la quantità di acqua che tutta insieme fluisce a fondovalle) è sempre maggiore e i cambiamenti climatici stanno comportando sempre più l’aumento in frequenza e in intensità dei fenomeni estremi (compresi i nubifragi).
Tuttavia esiste un secondo approccio, sicuramente più virtuoso, secondo il quale il rischio va affrontato non tramite cure palliative, caratteristiche di un ciclo vizioso che potremmo definire cemento-distruzione-cemento, bensì con la prevenzione. Anzitutto ponendo freno a un’urbanizzazione selvaggia consentita da piani regolatori scellerati e criminosi che, come si è visto, ha come effetto finale il convogliamento verso valle di troppa acqua in troppo poco tempo. Lasciando una sufficiente quota di versante in condizioni naturali o semi-naturali si può infatti consentire al suolo, ai boschi e alle coltivazioni l’intercettamento dell’acqua e il suo trattenimento nel terreno, con una graduale restituzione di parte dell’acqua piovuta sul lungo periodo (il che, peraltro, rappresenta anche una strategia di prevenzione della siccità nei periodi secchi). Inoltre, (sembra banale e facile da capire ma a quanto pare non lo è per molti) bisognerebbe evitare di costruire all’interno dell’alveo! Il fiume è infatti un sistema dinamico che vede l’alternarsi di fasi di piena e di magra, secondo oscillazioni anche ultradecennali. Lasciare al torrente la possibilità di espandersi durante le piene ordinarie e straordinarie comporta durante questi eventi la riduzione della velocità della corrente nelle zone esterne, anche per effetto della presenza della vegetazione riparia. Questa infatti svolge un ruolo chiave, non solo nella purificazione dell’acqua, ma anche nella riduzione della sua velocità tramite l’attrito, esercitato anche dalle imperfezioni dell’alveo come la presenza di grossi massi: sono tutti ostacoli che riducono la velocità della corrente rendendo meno devastante la sua potenza distruttrice. La diversità dell’ambiente è fondamentale anche perché favorisce la biodiversità. Infatti in alveo le infinite specializzazioni che i differenti organismi hanno rispetto alla corrente e al tipo di fondale comporta il loro stabilirsi solo se le condizioni dell’habitat lo consentono. Inoltre la zona riparia integra, oltre a rappresentare un rifugio per i pesci durante le piene, può ospitare una grande varietà di organismi tra i quali anfibi, rettili, mammiferi e uccelli che dipendono dal fiume per l’alimentazione e i ritmi biologici.
Anche secondo la Commissione Europea l’estirpazione della vegetazione riparia, le canalizzazioni, la cementificazione del territorio e degli alvei sono inadeguate per una corretta governance delle risorse idriche, che come tutte le risorse naturali (Millenium Ecosystem Assessment, 2005) sono fonte per l’uomo di servizi esosistemici (depurazione, approvigionamento, difesa idraulica e idrogeologica, etc.) che possono essere preservati unicamente garantendo l’integrità ambientale. Tale approccio è stato recepito anche in Italia con la recente approvazione del Collegato Ambientale (“Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”).
Secondo l’IPCC nel contesto storico in cui viviamo i mutamenti climatici stanno determinando l’incremento del rischio idrogeologico (attraverso la regressione dei ghiacciai e del permafrost, l’aumento di frequenza e intensità degli eventi atmosferici estremi, etc.). L’adattamento al Global Change è una priorità a livello comunitario e nazionale e risulta chiaro che l’approccio adottato finora con le politiche di gestione del territorio non sia adatto ad affrontare questa importante sfida. Se si considera che solo in Italia nel 2014 (ISPRA) i soldi spesi per le emergenze sono 7 volte maggiori rispetto a quelli spesi in opere di prevenzione, è evidente che il nostro rapporto con l’ambiente non è sostenibile sul lungo periodo.
Sempre più numerose realtà nel Mondo e in Europa stanno seguendo le indicazioni della Commissione Europea (si veda il sito ufficiale www.nwrm.eu). Alcune scelte possono risultare impopolari, come ad esempio la delocalizzazione dei quartieri costruiti in zona perifluviale o piani urbanistici oculati che, inibendo la costruzione di nuove case, sono accusati di rallentare l’economia (forse su cosa si debba basare la nostra economia non ce lo chiediamo mai!). Altre scelte invece, come la rinaturalizzazione dei fiumi e la creazione di zone verdi, sono meglio accolte dalla popolazione perchè è ben evidente l’impatto positivo sul benessere della città e dei suoi abitanti. Che siano maturi i tempi per portare anche nella nostra vituperata e amata città questi temi? Perchè non affrontare finalmente un serio dibattito sul benessere del nostro territorio?
Foto di Paolo Rossi – Fotografo prossifoto@gmail.com
Testo di Stefano Brighenti – Naturalista (Laureato in Scienze Naturali)
stefano.brighenti85@gmail.com
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